Author: Antonella

Il Brigantaggio: una rivalutazione storica

Lo scorso 29 aprile, si è svolto presso l’Istituto comprensivo di Gioi su iniziativa dell’Oratorio ANSPI di Cardile un interessante incontro con i ragazzi delle scuole medie dal titolo: “Il sogno del brigante cilentano: una Terra libera”. Hanno preso parte all’evento la vice-preside prof.ssa Carmela Rizzo, il sindaco dott.ssa Mariateresa Scarpa, il vice-sindaco dott. Antonio Palladino, il segretario dell’oratorio avv. Carmine Rizzo, i relatori prof. Carmine Farnetano e il dott. Antonio Mondillo. Il centro del dibattito è stato rappresentato dalla figura del brigante cilentano che, seppur legata alla rozzezza del suo agire, dimostrava tanto sentimento per la lotta e per il suo sogno di una Terra libera. Per migliorare le condizioni socio-economiche nelle Nostre contrade il prof. Carmine Farnetano ha affidato un messaggio alle nuove generazioni secondo il quale i giovani debbano riappropriarsi dell’amore verso il proprio territorio cilentano ancora oggi vessato, schiacciato da un destino e da un sistema endemico, dove il potenziale da sfruttare è quell’arma in più che hanno i giovani di oggi e che porta il nome di “sapere”, di “sofia”, di “conoscenza”, attraverso una rivoluzione pacifica, chiamata “Rivoluzione culturale”. Anche il dott. Antonio Mondillo ha sottolineato l’importanza della lettura con la riscoperta delle radici storiche di chi ci ha preceduto, focalizzando l’attenzione su una lettura più alla portata dell’interesse dei giovani come quella del fumetto. Un ringraziamento per il materiale concesso nell’allestimento della mostra documentaria all’Archivio di Stato di Salerno per gli atti dei processi ai briganti e al Museo del Risorgimento italiano di Torino per le stampe d’epoca sui briganti.

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“Fratelli di Libertà” – Progetto per la realizzazione di un fumetto a colori sulla storia del Risorgimento cilentano

        “San Giovanni Bosco”

C.so Umberto I° - Cardile di Gioi (SA)

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RELAZIONE PROGETTUALE

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A) L’importanza del fumetto nella didattica.

Non solo svago per il tempo libero o distrazione durante la lezioni, ma strumenti didattici efficaci che possono rivelarsi utili a vari livelli. Secondo alcuni docenti ed educatori, i fumetti aiutano gli studenti a migliorare le competenze di lettura e scrittura, a comprendere più facilmente concetti complessi e ad avvicinarsi (se non addirittura ad appassionarsi) alla lettura.

Il loro punto di forza rispetto ai libri è naturalmente la componente visuale, un linguaggio molto più vicino ai ragazzi rispetto al semplice testo scritto, vista la quantità crescente di tempo che passano a contatto con i media di tipo visivo, dalla televisione, ai videogiochi e alla fotografia, che è ormai diventata il loro mezzo di comunicazione privilegiato, soprattutto sui social network.

Innanzitutto, serve forse precisare che non tutti i fumetti hanno la forma delle tradizionali strisce disegnate che troviamo spesso su giornali e riviste. Ne esistono anche di più complessi, come i cosiddetti graphic novel, un genere narrativo in cui la storia non procede in modo seriale, ma è autoconclusiva, come nella struttura dei romanzi, appunto. I “romanzi a fumetti” contengono infatti tutti gli elementi dei libri che vengono tradizionalmente assegnati per la lettura a scuola: un inizio, lo svolgimento della storia, un epilogo, lo sviluppo dei personaggi, il conflitto, e molte altre caratteristiche tipiche. Per questo, molti li ritengono un valido strumento da utilizzare nella didattica, in alternativa alle letture consuete.

Ma quali benefici concreti possono portare se adottati nell’insegnamento? Ad esempio, possono venire in soccorso degli studenti (soprattutto delle scuole superiori di secondo grado) che hanno difficoltà con paragrafi testuali molto lunghi, e possono aiutare ad affinare un tipo di scrittura “efficiente”, ovvero far esercitare la competenza di riuscire ad esprimersi efficacemente all’interno di uno spazio limitato. (https://blog.bsmart.it/2016/10/20/fumetti-nella-didattica-quali-benefici-lapprendimento/ ).

B) La valorizzazione della storia locale.

Molto spesso nei programmi scolastici relativi alla storia risorgimentale si trascurano delle pagine di storia locale che pure nel contesto generale degli avvenimenti hanno avuto un ruolo importante per lo sviluppo delle vicende nazionali e internazionali, costituendo i primi bagliori dell’alba risorgimentale italiana.

Nel fumetto, strutturato in 64 pagine, di cui 57 sono le tavole a colori, vengono narrate le gesta eroiche dei tre fratelli Riccio di Cardile, frazione di Gioi, in provincia di Salerno e nel cuore del Cilento. La sceneggiatura, tratta dal soggetto del film “Bagliori nell’alba” di Maria Scarpa De’ Masellis Palazzo, è stata scritta da Antonio Mondillo, mentre il disegnatore è Luigi Barricelli, la colorista Giusy Ianniello, entrambi della scuola internazionale di fumetto Comix di Napoli. La sceneggiatura riprende la storia reale dei fratelli Davide, Licurgo e Alessandro Riccio, tratta dalle ricerche di archivio presso gli Archivi di Stato di Salerno e Napoli, frutto di un libro pubblicato nel 1995. La sceneggiatura intreccia all’aspetto delle rivolte e delle idee risorgimentali anche se in forma romanzata i sentimenti amorosi per la realizzazione della causa patriottica. Le vicende, da un punto di vista degli avvenimenti storici, si snodano seguendo il seguente quadro storico e nello specifico durante i periodo della carboneria e della setta dei Filadelfi (1820-1828):

* La Carboneria (1820)

Gli anni della dominazione napoleonica (nel Regno di Napoli dal 1808 al 1815), da un lato, arrecarono degli svantaggi, visto che l’economia della penisola italica era subordinata agli interessi francesi, ma dall’altro non bisogna dimenticare gli aspetti positivi del periodo napoleonico: il re Gioacchino Murat seppe inculcare nei suoi sudditi il seme della libertà, che germogliò ben presto, quando, ucciso lo stesso Murat, ritornò a governare il dispotismo borbonico.

Merito indiscusso di Murat fu di aver creato le basi per uno sviluppo armonico dell’economia e del territorio cilentano; il re con decreto dell’11 giugno 1811, concesse un fiera annuale da svolgersi a Vallo nei primi tre giorni del mese di luglio; inoltre, i vallesi chiesero ed ottennero dal re una strada rotabile, che allacciasse Vallo con Salerno e Napoli.

La visita fatta a Vallo nel 1808 da re Gioacchino infervorò gli animi dei cilentani, che vedevano in lui il divulgatore delle idee di indipendenza e di libertà contro il dispotismo borbonico. Il governo di Murat durò poco più di sette anni, in quanto, rientrato a Napoli Ferdinando IV di Borbone, fu ucciso dalle truppe borboniche a Pizzo Calabro, il 13 ottobre del 1815, dopo aver compiuto un estremo tentativo di riconquistare il regno perduto.

In coincidenza con il crollo del regno di Murat e il conseguente ritorno sul trono di Napoli di Ferdinando IV, si accentuò la presenza nel meridione d’Italia di sette carbonare, le quali incominciarono ad affilare le armi contro l’autoritarismo borbonico. Le idee carbonare, intrise di libertà e di indipendenza, costituirono la spina nel fianco del governo borbonico, tanto da preparare il crollo di quella monarchia.

La Carboneria, fondata nel 1814, era organizzata attraverso le sue “baracche” e le sue “vendite”; “baracca” era considerato il luogo di riunione, “vendita” era l’adunanza, il protettore dei carbonari era S. Teobaldo, la bandiera era di tre colori: rosso, nero e turchino. Una fitta rete di “baracche” e di “vendite”, ben presto, attecchirono anche nel Cilento. “In un primo momento a Vallo si erano affiliati solamente il Capitano Mainente, il Dr. D. Nicola De Mattia, i figli Donato, Emilio e Diego, e qualche altro, ma poi i pochi divennero falange ed anche Vallo ebbe ben due società segrete che furono battezzate col nome “i veri amici” e “petelini lucani”. Con la vendita di Vallo corrispondevano quella di Moio della Civitella, detta i “liberi Filantropi”, di Pellare “la vera luce”, quella di Cuccaro Vetere, detta “I liberi Brucari”, di Cannalonga “i veri figli della pace”, di Ceraso “i figli dell’onore”, di S. Barbara “liberi Erotensi”, di Gioi “concordia”, di Perito “velini risorti” e di Stio “soccorso”.

Sicuramente, anche a Cardile esisteva una vendita dove i fratelli Riccio si incontravano con altri carbonari, in quanto, dalle deposizioni rese da un testimone dinanzi al giudice di Vallo, in un processo contro gli stessi fratelli, emergeva che, “…nell’abitato di Cardile nell’agosto del 1822, nel luogo detto lo Vaglio, erano stati tenuti discorsi dal D. Alessandro per promuovere una seconda rivoluzione…”.

Il 2 luglio 1820 scoppiò ad Avellino una rivolta, ben presto propagatasi anche nella provincia di Salerno, dove i carbonari meditavano la vendetta nei confronti di Ferdinando IV, il quale aveva promesso vanamente le riforme ai suoi sudditi. Precedentemente, nel maggio 1820, si era riunita a Salerno la cosiddetta “Gran Dieta”, alla quale parteciparono tutte le vendite della provincia di Salerno, acclamando il Gen. Pepe comandante delle forze insurrezionali della provincia. Il 5 luglio venne concessa la costituzione e proclamata il 6 luglio dal re Ferdinando, impotente nel domare la rivolta. Vennero indette anche le elezioni del Parlamento, al quale fu eletto il canonico De Luca di Celle di Bulgheria, che sarà fucilato per la rivolta del 1828.

In tutti i paesi del circondario di Vallo si festeggiò per la Costituzione concessa. A Cardile, i fratelli Riccio, di ritorno da Napoli con la bandiera, la inalberarono in paese, facendo gran festa.

La Costituzione concessa durò per poco tempo, perché il re, dietro le pressioni esercitate dall’Austria, che non vedeva di buon grado quel sistema costituzionale, fu costretto ad abolirla. A nulla valse la battaglia di Rieti del 7 marzo 1821, quando le truppe costituzionali vennero sconfitte dagli austriaci.

Il 9 maggio 1821, il sottintendente Andreazzi riferì all’intendente di Salerno di una congiura che si stava tramando nel circondario di Vallo. Il sottintendente aveva saputo dal duca di Cannalonga D. Giovanni Mongrovese che si stava preparando una nuova rivoluzione da parte dei carbonari per il 15 giugno 1821. Partecipò alla congiura anche Alessandro Riccio di Cardile, come emergeva dal rapporto all’intendente di Salerno.

Lo stesso Alessandro Riccio, nel 1822, cercò di ricomporre “le file dell’armata costituzionale” sbandatasi nel 1821. Infatti, in una riunione tenutasi a casa di Angelo D’Aiuto, “deputato del Comune di Gioi”, il Riccio propose di unirsi a Cardile e poi di passare in altri paesi per raccogliere quante più persone fosse possibile, allo scopo di promuovere una seconda “rivoluzione” e riottenere la Costituzione.

Nello stesso anno, una denuncia anonima fece scoprire una congiura a Cardile, dove gli agenti della forza pubblica sequestrarono gli emblemi della setta, i verbali delle riunioni ed arrestarono Alessandro, Cesare e Licurgo Riccio, Giovanni e Gabriele Maucione di Cardile, Pasquale Cinelli, Domenico Buonfrisco e Filippo Torello di Magliano.

* La Setta dei Filadelfi (1828)

Alla rivolta del Cilento del 1828, organizzata dalla Setta dei Filadelfi, con a capo il canonico De Luca di Celle di Bulgheria, parteciparono numerose persone di cultura e soprattutto la borghesia terriera, che cercò di aizzare i contadini contro il governo borbonico. Il tentativo fallì in quanto la borghesia aveva sempre sfruttato la classe contadina, facendo così tramontare l’idea di una “rivoluzione”, che avrebbe dovuto avere degli echi molto più vasti, tanto da coinvolgere contro i Borboni la Francia e la Russia.

Il 27 maggio del 1828, Alessandro, Davide e Licurgo Riccio, mentre si trovavano riuniti insieme ai fratelli Capozzoli in una casa di campagna situata nella parte alta di Cardile, videro giungere delle truppe di gendarmi che stavano accerchiando il paese. I tre fratelli si armarono e si dettero alla fuga, decidendo di separarsi: Alessandro scelse di andare verso la zona interna, unendosi alla banda dei Capozzoli e partecipando, di poi, alla presa di Palinuro il 28 giugno 1828; Licurgo, il quale forse si voleva nascondere a Gioi, si imbatté subito dopo, nelle guardie sul ponte vecchio; cercò di indietreggiare verso un mulino, ma le guardie di Monte Cicerale lo uccisero lì dove ancora oggi si trova la torre del mulino, nei pressi di Cardile; Davide, invece, cercò di nascondersi a Cardile, ma le guardie incominciarono a far fuoco, ferendolo ad una gamba. Caduto a terra, riuscì ad impugnare il fucile e sparando ferì gravemente il caporale Cerro, che morì per strada, mentre trasportavano il Riccio nelle prigioni di Vallo.

A seguito della riunione preparatoria alla presa di Palinuro, tenutasi in casa del canonico De Luca, si stabilì che la sera del 26 giugno del 1828, al segnale convenuto, dovevano portarsi in un luogo coperto da folte macchie Domenicantonio De Luca, Giambattista Mazzara di Licusati, Giuseppe Vito Tambasco, proprietario di Montano, Arcangelo Daguino, il prete Giovanni De Luca, Domenico Antonio Caterina, i tre fratelli Capozzoli con Alessandro Riccio, ed i loro fidi seguaci Rossi e Giardella, Filippo di Rocco, Carmine, Paolo e Filippo Valiante, il dottore Domenico Siervi del Villaggio di Acquavena, Pasquale Novella ed altri i cui nomi rimasero sconosciuti: in tutto una trentina.

Durante la notte del 27 giugno, i rivoltosi passarono par Centola, giungendo all’alba del 28 a Palinuro. Le guardie doganiere vennero assalite e disarmate dai ribelli, che innalzarono una bandiera bianca sul forte, con la speranza, rivelatasi vana, di trovare nel suo interno armi e munizioni. Successivamente fu assalito il telegrafo e distrutte le sue ali e le sue corde. Gli insorti, portando al cappello delle coccarde bianche, si diressero nella piazza di Palinuro, dove venne letto un Proclama. Nel Proclama, tra le altre cose, si prometteva: “il sale si compererà che a grana 4 il rotolo, la fondiaria sarà sospesa per ora e quindi diminuita e tutti gli altri pesi e dazi saranno aboliti”.

A causa dei fermenti antiborbonici che si stavano verificando nel Cilento, con un atto sovrano del 29 giugno 1828, veniva conferita al maresciallo Del Carretto la nomina di Commissario del Re nei due principati con i poteri dell’”alter ego”.

La mattina del 30 giugno gli insorti marciarono verso S. Giovanni a Piro, passarono per Bosco, continuarono a marciare verso Roccagloriosa. A Cuccaro, provennero agli insorti delle notizie circa un accerchiamento che si stava per compiere per mezzo di sbarchi in vari punti della costa cilentana. Tale notizia fece ulteriormente sbandare la schiera dei rivoltosi, tanto che di essa non restò che un piccolo gruppo e, cioè i fratelli Capozzoli, il Gallotti, il Caterina, il Rossi ed Alessandro Riccio. I profughi, spaventati dai colpi dei cannoni fatti sparare da Del Carretto il 7 luglio contro i boschi delle montagne di Novi per stanare i ribelli, decisero di dirigersi verso Piaggine. I propositi dei fuggitivi vennero ancora una volta impediti dalle truppe di Del Carretto, che costrinsero i rivoltosi a girovagare raminghi nei boschi di Montesano. Inoltre, il maresciallo fece incendiare Bosco, mentre la popolazione, restia a confessare i nomi dei rivoltosi, fu costretta a fissare domicilio in San Giovanni a Piro. La ferocia di Del Carretto non si fermò a tanto, in quanto, il 18 luglio 1828, fece affiggere su tutte le cantonate delle vie del distretto e persino nei boschi un manifesto, che prevedeva una taglia di 400 ducati per la testa di Alessandro e altre taglie per i suoi compagni. Alessandro, ferito in uno scontro con le guardie di Moliterno, decise di separarsi dal gruppo per rientrare a Cardile e ricevere notizie del fratello Davide, di cui ignorava la sorte.

Il 18 luglio 1828, il maresciallo Del Carretto, avvalendosi di un decreto del 24 maggio 1826, che regolava i giudizi per i reati di setta e per gli attentati contro la sicurezza interna dello Stato, in virtù degli alti poteri di cui era investito, istituì e convocò in Vallo una Commissione militare, espressamente incaricata di giudicare i reati degli imputati che si trovavano già in potere della giustizia. Tale Commissione condannò a morte con il terzo grado di pubblico esempio i seguenti imputati: Canonico A. De Luca, Michele Bortone, Domenico De Siervo, Filippo Di Rocco, Antonio La Gatta e Davide Riccio. La circostanza del luogo non consentiva di eseguire la sentenza con la decapitazione, per cui il maresciallo, investito dei poteri dell’”alter  ego”, cambiava la pena di morte con il terzo grado di pubblico esempio con quella della fucilazione.

Il giorno precedente l’esecuzione dei condannati, la madre di Davide, pur di non vedere il figlio ucciso in piazza, gli fornì una fialetta di veleno. Davide accettò serenamente e bevve quel veleno, poi morì. Il 20 luglio del 1828, il maresciallo Del Carretto, inviperito per l’indole materna, ordinò che il cadavere di Davide fosse ugualmente fucilato, come se fosse stato vivo, sorretto da pali infilzati nella schiena.

In virtù degli ordini del maresciallo Del Carretto che imponevano di recidere le teste dei giustiziati, di porle in gabbie di ferro e rialzarle su piramidi di fabbrica di palmi tredici, il giudice di Gioi convocò due muratori di Cardile, per far costruire i due pilastri su cui infilzare le teste di Alessandro e Davide Riccio.

Alessandro andava ramingo per i boschi di Campora per procurarsi notizie di Davide e curarsi la ferita che aveva riportato nello scontro con le guardie di Moliterno. Il 29 luglio 1828, Alessandro incontrò nel vallone di Campora due scalpellini, Carlo Maria D’Andrea, suo compare e il nipote del D’Andrea, Angelo Rocco, entrambi di Campora. Alessandro, fidandosi di costoro, chiese loro di fargli un po’ di frescura visto che era stanco e ferito. Il compare con rami di ontani e felci gli fece la frescura e lì Alessandro si coricò. Il D’Andrea ed il nipote, che erano intenti a scalpellare una pietra da macina e che erano a conoscenza della taglia di quattrocento ducati posta sulla testa di Alessandro, decisero di ucciderlo mentre dormiva. Il D’Andrea gli si avventò addosso colpendolo con una accetta, il Rocco lo finì con un palo di ferro. Il cadavere e le armi di Alessandro furono trasportate a Vallo; i due traditori, ottenuto il premio di 400 ducati, consegnato loro da dietro le spalle in quanto era stato violato “il vincolo del S. Giovanni”, vennero ascritti a vita fra le guardie urbane di Campora. La testa di Alessandro fu esposta il giorno successivo nella piazza di Cardile.

La “Rivoluzione” del 1828, che doveva segnare la nascita di una nuova realtà civile e sociale del popolo cilentano, finì per essere repressa nel sangue dalla dinastia borbonica. Così le vite di numerosi “martiri della libertà”, che anelavano una nuova forma di governo liberale, vennero immolate inutilmente, senza che potessero modificare il destino della terra cilentana, considerata proprio per questo, dal governo borbonico, “la terra dei briganti o dei tristi”.

Nel 1929, a cent’anni dalla morte dei fratelli Riccio, a perenne memoria dei tre “martiri”, venne deposta a Cardile una lapide in marmo con caratteri scolpiti a mano, su cui si legge:

 

DAVIDE LICURGO ED ALESSANDRO RICCI

STOICAMENTE AFFRONTANDO LA MORTE

NELLA TRAGICA RIVOLTA DEL 1828

INSEGNARONO AI TIRANNI

IL RISPETTO DELL’UMANA LIBERTA’

A PERENNE RICORDO

DI TANTA VIRTU’

CARDILE

LORO TERRA NATALE

POSE QUESTA MEMORIA

MCMXXIX

 

C) La divulgazione del progetto nelle scuole

L’altro obiettivo che si propone l’Oratotio ANSPI “San Giovanni Bosco “ di Cardile è quello di organizzare degli incontri nelle scuole a partire dal mese di novembre per far conoscere la storia locale che ha interessato il Cilento durante le rivolte risorgimentali agli studenti delle scuole elementari e medie sia inferiori che superiori attraverso il fumetto realizzato.

Le prime scuole interessate saranno quelle di Gioi, poi quelle di Vallo della Lucania, quelle di Battipaglia, Agropoli e Salerno. Con l’ausilio di un video proiettore saranno presentate le tavole dei fumetti direttamente dagli autori, cioè dallo sceneggiatore, dal disegnatore e dalla colorista, con la partecipazione di esperti cultori della storia risorgimentale. 

D) Divulgazione della storia nell’ambito dei Comuni e frazioni interessate dalla Rivolta del 1828.

Saranno contattati i Comuni che hanno visto svolgersi nel loro territorio le vicende dei moti del 1820 e 1828, dal momento che il fumetto valorizzerà nel disegno le località dei Comuni dove si svolsero i fatti storici, come Celle di Bulgaria, Centola, Palinuro, Roccagloriosa, Camerota, Montano, Cardile, Gioi, Vallo della Lucania, Torre Orsaia, etc.

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Presentato a Cardile il libro di Don Angelo Imbriaco “Le carezze di Dio”

Quando nel 2012 con il Terz'Ordine carmelitano organizzammo per le scuole di Vallo il convegno su Elia, Don Angelo mi chiese di invitare il Padre carmelitano brasiliano Carlos Mesters che aveva speso la sua vita aiutando il popolo di Dio nella lettura e nella comprensione della Parola di Dio. La sua missione di evangelizzatore era proiettata verso gli ultimi e spiegava la parola di Dio in maniera che la gente più semplice potesse comprendere il suo messaggio. Ho capito allora a che tipologia di biblista Don Angelo si ispirasse: la parola di Dio alla portata di tutti! Così ascoltando o leggendo le sue omelie, per la sua semplicità, sembra quasi di imbattersi nello stesso fenomeno dell'epoca buia medievale quando l'arte con i suoi mosaici o gli affreschi riassumeva passi di vangelo definita "la Bibbia dei poveri", così le omelie di don Angelo catturano l'attenzione del fedele in un mondo di distrazioni in cui prevale un difetto di ascolto e di lettura. Grazie Don Angelo.

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A Cardile nasce un laboratorio tessile

Cardile ha deciso di non porre nel dimenticatoio l’antica tradizione della lavorazione del lino attraverso la nascita del laboratorio tessile “Il Cardo”, una costola dell’Associazione Culturale Sportiva “Martiri Riccio”

Arrivando a Cardile è possibile ammirare un murales, realizzato da Antonio Suriano, in cui sono presenti i momenti salienti inerenti la coltivazione e la lavorazione del lino, un prezioso filato che ha dato a questo piccolo paese il nome e la notorietà nel corso degli anni. Storicamente, infatti, il nome Cardile deriva da “cardo”, uno strumento utilizzato per la lavorazione del lino e i cardilesi erano noti soprattutto per la loro attività di cardatori di lino. Questo tessuto è sempre più richiesto nel campo della moda e non perde il suo fascino nonostante a esso siano subentrate numerose fibre più o meno artigianali. Per questo Cardile ha deciso di non porre nel dimenticatoio l’antica tradizione della lavorazione del lino attraverso la nascita del laboratorio tessile “Il Cardo”, una costola dell’Associazione Culturale Sportiva “Martiri Riccio” ...continua  abc

4^ lezione: sulla “Fratellanza”

Lo scorso 15 febbraio 2018  si è svolta la 4^ lezione di don Angelo sulla “Fratellanza”

Riprendiamo gli incontri che hanno come argomento centrale “alla ricerca dei fratelli” con la storia di Giuseppe, tradito e abbandonato, che va alla ricerca poi dei fratelli. Questi fratelli erano numerosi e avevano un padre: Giacobbe. Quindi, se si va alla ricerca dei fratelli significa che c’è anche la ricerca e la riscoperta del padre. Quindi oggi pomeriggio andremo alla riscoperta del padre. Si dice in un fioretto di San Francesco, quei raccontini che vennero subito messi per iscritto per ricordare  a livello popolare la figura del Santo, che un suo frate, Fra’ Masseo, lancia una sfida a San Francesco per vedere chi era più capace a dire “Padre Nostro”. “Allora metteremo un sassolino ogni qualvolta diremo “Padre Nostro””. Francesco accettò. La mattina seguente arrivò Fra’ Masseo e portò una ciotola piena di sassolini; Francesco lo guardò meravigliato e disse: “Ma come hai fatto? Io ho un solo sassolino perché quando ho cominciato a dire “Padre” era così bello e dolce dire “Padre” che mi sono fermato. Noi pensiamo che la Quaresima è la moltiplicazione delle preghiere. No! E’ dire la preghiera. Essere veri, autentici davanti a Dio, scoprire una relazione con Dio. Questo è quello che scopre San Francesco: la presenza del Padre. Il Vangelo parla anche di questo in una celeberrima parabola, chiamata del “Padre misericordioso” e la leggiamo: “Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»”. Ad un certo punto il figlio maggiore dice “questo tuo figlio”, come il padre dice molto spesso nel quotidiano alla madre: “Tuo figlio”, appartiene a Te, non è più fratello. Oramai c’è una situazione che tutti dichiarano, tutti gli analisti della società dichiarano la scomparsa del padre. E’ la conseguenza di decine di anni in cui si è distrutta la figura del padre. Nel 1968 quando incominciò la contestazione prima a Parigi, la contestazione era contro l’autorità, sui muri di Parigi c’era scritto: “l’immaginazione al potere”, bisognava sentirsi liberi e quindi in tutte le Università si scioperava contro l’autorità e la prima autorità contro cui protestare era il padre, bisognava sentirsi liberi. Un professore che insegna oggi a Milano al San Raffaele, nel 1968 era studente, ascoltò un suo professore Lacan, docente di psicologia, che scandalizzò gli studenti perché diceva: “Non potete immaginare i danni che state facendo in questo momento, quando voi distruggete l’autorità del padre”. Uno psicologo avrebbe dovuto favorire le richieste degli studenti. Se il padre oggi è scomparso è perché nel tempo si è evoluta una presa di mira nei confronti della figura del padre come autorità. Se torniamo alla parabola si dice che il padre è morto perché il figlio ha chiesto di dividere il patrimonio. La morte del padre simbolicamente è rappresentata dalla richiesta della divisione del patrimonio. Non è forse vero che i figli dicono ai genitori “dammi” perché mi devo comprare una maglia firmata Gucci perché tutti ce l’hanno. Dammi i soldi perché devo comprare l’ultimo telefonino e passi e li vedi che non Ti danno retta perché piegati sul telefonino. Questo è un processo che è andato alla deriva per molti anni. Ma il padre della parabola cosa fa’ quando c’è la richiesta del figlio sul patrimonio. Il padre non lo trattiene. Il Padre lo fa’ partire. Qui c’è una considerazione molto importante e preziosa da fare. La madre è colei che da’ la vita, il padre è colui che rende possibile la vita nel futuro. La madre è possessiva, lo vorrebbe sempre legato a sé. Il padre rende possibile questo distacco dal cordone ombelicale. Se è un padre vero, lui rende il figlio libero verso un domani. Quando c’è veramente la figura del padre, questo garantisce il figlio, gli copre le spalle per il suo cammino futuro. Ti sono vicino perché tu faccia il tuo cammino. Il padre della parabola avrebbe potuto impedire al figlio di partire. Nonostante tutto ha fiducia in lui. Il compito del padre dovrebbe essere questo. Notate bene che il riferimento del padre del vangelo è quello di Dio padre, quando consente al figlio e non proibisce. Il sogno di Dio Padre è quello che il figlio possa sviluppare il suo sogno, senza legare. Lui vorrebbe che il figlio facesse veramente ciò per cui è chiamato, altrimenti se noi pensiamo ad un Dio che vuole tutti sottomessi avremmo un padre legato all’autoritarismo, che comanda e non un padre legato all’autorità. Poi tornando alla parabola, i soldi finiscono e sono costretto a tornare dal padre, a fare lo schiavo. Voi forse pensate che era tornato perché pentito? No! Perché aveva fame. Il padre lo vedeva morto. Il figlio maggiore  si scaglia contro il padre perché il figlio che aveva sperperato tutto con le prostitute non dovesse ricevere un trattamento buono con il vitello grasso e la festa. Sapete che concetto abbiamo di Dio in questi casi? Che Dio punisca, mentre Dio, da Padre, punisce la trasgressione con il perdono. Uno si aspetterebbe che facesse la ramanzina, che chiedesse perdono e poi Dio mi viene incontro. Dio Ti punisce con il perdono. Tu pensi che vieni in Chiesa per essere perdonato, mentre Dio Ti ha già perdonato. Un padre vero deve punire gli errori del figlio con il perdono. Se non sa fare questo non è un vero padre. Colui che è capace di abbracciare il figlio perduto è vero padre, un padre se è padre abbraccia suo figlio che ha sbagliato. Ripeto qui c’è un doppio registro, quello del padre e quello di Dio Padre, perché non è solo un Padre che dice la regola; un padre deve saper dire anche di no: non devi tornare dopo mezzanotte; ma deve essere capace anche di abbracciare suo figlio. La parabola dice che c’è un vizio peggiore: la scena cambia quando inquadra il figlio maggiore, sempre fedele al padre. Tuo figlio che ha dilapidato il patrimonio con le prostitute gli fai festa. Qui c’è un rischio maggiore di sbagliare: il non vivere. C’è un modo peggiore di essere figlio, quello di vivere in famiglia come schiavo, non vivere, non si sentiva figlio. Questo è rimasto in casa, ma non ha mai vissuto. C’è un modo peggiore di chi ha sbagliato, cioè di vivere come un peso: vado a scuola è un peso, vado a lavorare e ci vado come un peso, lavo i piatti è un peso. Questo non garantisce nulla, quando si vive come un peso davanti alla vita. Allora il padre vorrebbe dire “Tu sei mio figlio, tutto quello che è mio è tuo; non te ne sei accorto?”. Non si sentiva figlio perché non riconosceva il padre. Ecco perché dicevo all’inizio con Francesco è una cosa bella quando dice “ho un Padre”. Puoi dire mille volte il Padre Nostro, ma non Ti accorgi che hai un Padre e Tu sei figlio. Nella mitologia classica Sofocle ha scritto la tragedia “Edipo Re”, in cui si parla della morte del padre, perché Edipo uccide il padre non sapendolo. Una veggente predice che un giorno Edipo ucciderà il padre e sposerà la madre. Per questo il padre lo manderà molto lontano a morire; invece non muore, torna, fa una lotta e uccide il padre, sposando poi la madre. Anche in questa cultura c’è la morte di un padre 5 secoli prima di Cristo. Ma ciò che intendo sottolineare è che quando Edipo viene  scoperto quale parricida e incestuoso, la conseguenza è la punizione: fuggiasco e vagabondo diventerà cieco. Questa è la grande differenza: il Dio pagano condanna il figlio che ha fatto queste cose orribili; mentre il Dio cristiano abbraccia il figlio che si è smarrito e lo perdona. Quando hai paura di Dio, hai paura del Dio pagano; ma non hai ancora accolto e apprezzato la novità del vangelo, cioè la rivelazione di Dio nel figlio, Gesù Cristo, che ha consegnato a Noi. Se hai paura della punizione di Dio in quel momento confondi il Dio di Gesù Cristo con il Dio pagano. Per i Greci era normalissimo. Agli occhi di Gesù il padre è diverso. Ecco perché è dolce il Padre che scopre San Francesco. Questa è la riscoperta del Padre. Dio è padre perché ha cura dei suoi figli, che non punisce, ma che lascia spazio di vita, fa festa. Fare festa, non punire. Dice il salmo: il peccato è alle spalle, non lo vedo più, non c’è più. Bisogna guardare avanti, non al passato. Dobbiamo imparare a dire Padre, se vogliamo dare un senso alla Nostra vita e guardare al futuro.

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