LA CAPPELLA DI SAN PIETRO APOSTOLO E GLI AGONI GIOVANILI

Una vecchia tradizione presente a Cardile, ma anche a Gioi, tramanda che, sul pianoro detto ‘ro Ceraso’ sorgeva una cappella dedicata a San Pietro Apostolo. Ora, in questo luogo, non rimane che un piccolo cumulo di pietre ma la gente non l’ha dimenticata. Nessun documento riporta notizie circa la sua edificazione e il culto che si svolgeva all’interno.
La cappella sorge su un ampio pianoro ricco d’acqua, punto di sosta estivo eccellente per le greggi che nella transumanza salivano dalle valli ai monti in ricerca di clima fresco e pascoli verdi. Quest’area, inoltre, era al centro di una viabilità montana che permetteva un passaggio da una parte all’altra di versanti della Laura, evitando di dover effettuare un percorso più lungo aggirando il monte da Gioi o dalla Civitella. L’estensione del pianoro permetteva sicuramente un numeroso afflusso di armenti dalle valli circostanti e, quindi, la possibilità da parte dei pastori di rompere, almeno per un breve periodo, la solitudine del lavoro. È in questo clima bucolico che si possono individuare le radici di un’area di culto che sfociò nell’edificazione di una cappella. Infatti, la vita all’aria aperta svolta dai pastori era piena di insidie, di solitudine, di mesi e mesi lontano da casa. La devozione popolare chiedeva necessariamente la protezione divina, protezione che si rese presente con una cappella. Aver dedicato la cappella a San Pietro Apostolo motiva maggiormente la devozione dei pastori che, verosimilmente, vedevano nel primo capo della chiesa un loro ‘eguale’ che, designato da Cristo a pascere il gregge dei cristiani, conosceva e capiva la difficoltà della loro vita.
La devozione non rimase solo esclusiva dei pastori ma divenne, ben presto, un culto collettivo che coinvolgeva molte comunità limitrofe. Infatti, la tradizione tramanda che presso questa cappella si svolgevano eventi annuali che coinvolgevano le popolazioni di tutti i paesi limitrofi. Per tre giorni, durante la festa di San Pietro del 29 giugno, si riuniva in questo luogo tutta la gioventù di questa parte del Cilento per svolgere dei giochi in onore del Santo. Di quali giochi si trattasse non si sa nulla, si sa solo che questa manifestazione si è svolta almeno fino alla fine del 1800.
La presenza di attività ludiche in un luogo di culto è una cosa estremamente suggestiva. Non può non farsi un parallelo con gli agoni sportivi dell’antica Grecia quali Olimpia, Delfi e le Panatenaiche di Atene. Questi giochi, che si svolgevano a scadenze precise, avevano come primo obiettivo onorare la divinità, Zeus, Apollo o Atena che fosse. Gli agoni erano vissuti come una pausa di festa, una sosta sacra in cui si allontanavano i turbamenti della vita politica e le fatiche della vita quotidiana. In questi periodi, inoltre la Grecia dimenticava, o meglio si riappropriava di se stessa e attraverso la catarsi agonale affermava l’idea nazionale; ritrovava, anche se per poco tempo, l’ideale di una libera unità nel nome di un comune modo di sentire.
Proprio questi ultimi nobili sentimenti collettivi, anche se lontani oltre un millennio, possono essere alla base della nascita dei giochi presso la cappella di S. Pietro. La presenza di differenti comunità di paese raccolte in un unico evento sembrerebbe rappresentare momento collettivo e solidale in cui si rinnovava e cementava una identità comune, dove ci si riconosceva appartenenti ad una entità territoriale unica. La giovane età dei partecipanti, inoltre, potrebbe avere avuto un alto valore sociale per le comunità partecipanti: potremmo essere in presenza di un retaggio di quelle attività collettive e rituali che celebravano e amplificavano il passaggio dell’individuo dall’età adolescenziale all’età adulta, con l’assunzione di responsabilità e, quindi, l’ingresso al periodo della vita in competizione giornaliera per la sopravvivenza. Con queste gare, verosimilmente, si esorcizzava la difficoltà del passaggio all’età adulta e si poneva sotto la protezione di Dio, per l’intercessione di S. Pietro, le nuove generazioni di adulti nelle cui mani era posta la continuità delle comunità locali.