"Il borgo di Cardile nel Presepe del Mondo" e la sua simbologia

IL PRESEPE

Il presepe è la rappresentazione della nascita di Gesù, creata dalla volontà di S. Francesco, che, dopo il suo viaggio a Betlemme, volle rievocare la scena della Natività nel paese di Greccio. E ’  il simbolo del Natale e viene rappresentato in ogni paese.

Il presepe di Cardile nasce da una specifica intenzione: rappresentare il borgo di Cardile nei suoi aspetti peculiari, ma inserendolo nelle problematiche del mondo contemporaneo. Di fronte all ’intolleranza, al fanatismo, alle reciproche chiusure razziali e religiose, si vuole trasmettere la convinzione che, pur salvaguardando l ’identità di ogni gruppo, nazione o religione, in realtà ci sono molti aspetti che condividiamo con gli altri. Basti pensare alla stella di Natale. E ’ un simbolo universale delle religioni;  è presente nella tradizione ebraica (la stella di Davide a sei punte) ed in quella musulmana (la stella insieme alla luna  compare nella bandiera di molti stati musulmani).

Il visitatore che guarda il presepe potrà ammirare le caratteristiche specifiche del piccolo borgo di Cardile, ma potrà anche rendersi conto che molti sono i simboli del presepe, che ci fanno avvicinare all ’esperienza di altre tradizioni religiose nel mondo. DIO NON DIVIDE, MA UNISCE!

a cura di don Angelo Imbriaco

I Simboli del presepe e la loro universalità

I Magi derivano dal Vangelo di Matteo e dal vangelo armeno dell’infanzia, considerato apocrifo.. In particolare quest’ultimo fornisce informazioni sul numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani (Melkon, Gaspar e Balthasar), anche se non manca chi vede in essi un persiano (recante in dono oro), un arabo meridionale (recante l‘incenso) e un etiope (recante la mirra).  Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa.

I magi dovevano essere certamente astrologi babilonesi, che studiavano le stelle e interpretavano i sogni. Erano membri della casta sacerdotale persiana e si distinguevano per il loro sapere.

I magi rappresentano i sapienti e i saggi di tutto il mondo. Essi vengono a Cristo per rendergli omaggio e portargli i propri doni. Tutto quanto l’umanità ha raccolto in scienza ed esperienza sfocia nell’adorazione del bimbo divino. Chi segue il suo sapere fino in fondo giungerà a Dio.

Nella Bibbia si dice che i magi sono capaci anche di interpretare le stelle. Interpretano le stelle che si trovano in cielo, ma anche le stelle che sorgono nei nostri cuori. Se tu interpreti rettamente le stelle del tuo destino, ovunque nella tua vita sentirai sopra di te la mano di Dio che ti protegge e ti guida. Dio stesso ti prenderà per mano sulle confuse strade della tua vita, per condurti attraverso momenti magici e momenti di disillusione alla stella che riluce sopra il bimbo divino. Anche se tu, nell’oscurità della tua notte, spesso non vedi più la stella, se ti senti abbandonato da Dio nel tuo cammino, Dio certamente ti condurrà alla meta.

La stella di David è la stella a sei punte che rappresenta la civiltà e la religiosità ebraica. La stella a sei punte è anche simbolo molto diffuso nella cabala e nell’occultismo più in generale.

La luna con una stella è il simbolo universalmente riconosciuto per la fede islamica e campeggia sul molte bandiere di stati islamici.

Nell’anno 7 a.C. vi fu una vistosa congiunzione dei due astri Saturno e Giove. A Roma questo segno astronomico eccezionale fu interpretato come figura della pace imperiale di Augusto. A Babilonia è probabile che questa figura stellare fosse vista come segno della venuta del Messia. Si vide in essa la realizzazione della promessa di Balaam, anch’egli un mago che veniva dall’Oriente: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24,17).

Da sempre gli esseri umani sono stati affascinati dalla chiara luce della stella del mattino  e della sera. I padri della chiesa riprendono questa esperienza cosmica e la mettono in relazione a Cristo. Nella sua nascita Cristo è sorto come stella del mattino.

L’amore parla spesso di stelle. Chi ama dice all’amata. “Tu sei la mia stella. Tu sei una stella per me”. Con queste espressioni vogliamo dire che l’altro porta  luce nella nostra vita, che brilla come una stella nel nostro cielo notturno, che le nostre notti sono rischiarate dalla presenza dell’altro. Il linguaggio dell’amore ci fa intuire quanto accade a Natale, dove per noi brilla in Cristo una stella nel nostro cielo notturno. Cristo con il proprio amore porta luce nella nostra oscurità. La stella, che si trova in cielo, ci conduce al Padre, che sta nei cieli. E’ un’immagine della nostra nostalgia del totalmente Altro.

Da sempre gli esseri umano hanno trasferito i loro desideri nelle stelle e le stelle hanno esercitato un loro particolare fascino. La stella di Natale ci dice: “Non sei solamente un essere umano, ma anche una persona del cielo. In te brilla una stella che ti supera e ti rimanda a colui che scende dal cielo a riempire il nostro desiderio più profondo”.

Già anticamente presso gli Ebrei “alleanza” indicava il rapporto di convivenza di due parti, con i diritti e i doveri che ne derivavano.

Nella Bibbia il termine ricorre per ricordare l’alleanza tra Dio e l’umanità. Così quando, dopo il diluvio universale, Dio fa il patto di non sterminare più l’umanità con l’inondazione completa della terra e a riprova di ciò indica l’arcobaleno come simbolo di tale patto. L’alleanza viene stipulata con Abramo, con Mosè, con Davide. Essa è irrevocabile, eterna, perché la fedeltà di Dio non può dipendere dall’infedeltà degli uomini.

Nel Vangelo si parla di nuova ed eterna alleanza, suggellata dal sangue di Cristo. Questa nuova alleanza fa riferimento ad una predizione del profeta Geremia, avvenuta dopo la distruzione e l’incendio di Gerusalemme. Secondo il profeta Dio stabilirà una nuova alleanza ed emanerà leggi, non più scritte su tavole di pietra, ma nel cuore degli uomini  e ci sarà perdono per tutti. Dio stesso non ricorderà più le trasgressioni e gli errori degli esseri umani, e tutti avranno un rapporto diretto con Dio.

L’alleanza indica che la pace è nel cuore di ogni persona e che nessuno è più di ostacolo all’altro nella ricerca di Dio. Egli abita nell’intimo della persona. Dio respira come libertà nel cuore di ognuno. Per questa libertà Gesù è pronto ad andare alla morte.

Nell’esperienza religiosa dei popoli ciascuno si sforza di riguadagnare il favore di Dio. La parola d’ordine è sempre la stessa: se ti sforzi, se produci, se hai successo, se sei buono e se sacrifichi ogni cosa ad un dio crudele, forse allora sarai benvoluto e perdonato da Dio. Manifestando la nuova alleanza Cristo intende richiamarci, al di là della maledizione, in un paradiso perduto, in una condizioni in cui ci possiamo sentire giustificati da Dio,da lui accettati e accolti.

Il chicco di grano nelle religioni è simbolo di rinascita, segno di speranza e di futuro.

La spiga di grano è emblema della primavera, della natura che si risveglia, che vince il buio e l’immobilità e dunque la morte, come emerge chiaramente nel mito di Proserpina, versione romana della dea Persefone. Figlia di Cerere, venne rapita da Plutone, re dell’Ade, mentre coglieva fiori. Fu condotta nell’Ade, divenne la sposa di Plutone e regina degli inferi. Dopo che la madre ebbe chiesto a Zeus di farla liberare, poté ritornare in superficie a patto che trascorresse sei masi all’anno con Plutone. Così i Greci si spiegavano l’alternarsi delle stagioni.

Il grano è dono di Dio e simbolo del lavoro e della fatica umana. Il seme ogni anno muore per rinascere puntualmente a nuova vita salvando l’uomo dalla morte per fame.

Nell’Ebraismo Dio parla di sé attraverso il segno del pane. Al popolo che cammina nel deserto Egli dona la sua manna come segno della sua attenzione e premura per l’uomo. Dio è davvero indispensabile per la vita dell’uomo. Nel Vangelo questa pianta diventa alimento dell’anima. Il pane ottenuto dal grano diventa il corpo di Cristo.

Gesù si è proclamato “il pane di vita”, il pane spezzato e che proprio per questo procura la vita. Certamente è inevitabile che ci sia un’estrema sofferenza, ma come il morire del grano nel campo, anche la morte è in sé soltanto un passaggio ad una vita più grande.

Il simbolo del grano può contenere una risposta al tuo dolore, alla tua angoscia, alla tua sofferenza. Nel momento decisivo, in forza di questa immagine, tu puoi continuare  a pensare, al di là di tutti i tuoi pensieri razionali, che anche il tuo dolore sarà qualcosa di buono. Saprai che ciò che è frantumato crea nuova vita; non morirai con la distruzione del passato, ma continuerai a vivere. E perfino se si arriva all’estremo, se ti aspetta ancora solo la morte, tu vivrai di nuovo.

In molte culture il fuoco indica qualcosa di sacro. Mentre l’acqua sgorga dalla terra, il fuoco viene dal cielo. Il fuoco è qualcosa di divino. Il fuoco riscalda, protegge, illumina, raffina e quindi trasforma … ma anche divora, distrugge.

Il fuoco è da sempre stato usato per consumare le offerte agli dei; è quindi diventato il segno della presenza di Dio, che riscalda, illumina e protegge.

Nell’ebraismo il fuoco è sempre manifestazione di Dio: il roveto ardente di Mosè, la colonna di fuoco che guida gli israeliti nel deserto, il fuoco di Elia.

Nel cristianesimo il fuoco è il simbolo dello Spirito Santo, fuoco di Pentecoste. Dio è il fuoco che annienta il potere delle tenebre e rinnova l’umanità.

Lo Spirito Santo vuole bruciare in noi tutto quanto impedisce in noi la vita. In noi ci sono molti punti torbidi, come amarezza, scontento, malattie, offese. Tutti questi spiriti torbidi ci impediscono di vivere. Non riusciamo a prendere decisioni chiare, perché in noi prevalgono la rabbia, la gelosia, il senso di inferiorità. Per questo desideriamo il fuoco dello Spirito Santo, che bruci via da noi tutto quanto è torbido e ha perso colore, perché possiamo prendere decisioni con un cuore rischiarato e puro.

Il fuoco è anche immagine di vitalità. Le persone possono avere occhi infuocati. Da esse scocca una scintilla per gli altri. Emanano vita, gioia, vivacità. Non ci si può sottrarre al loro fascino. Il fuoco dello Spirito Santo vorrebbe riaccendere in noi la brace che si sta spegnendo, perché diventi fuoco che riscaldi e infiammi i cuori.

Nell’islam è ben nota la pietra nera. E’ una roccia nera, molto venerata dai musulmani e si trova a La Mecca. Secondo una diffusa tradizione popolare islamica, la pietra nera è l’occhio di un angelo incaricato di prendere nota dei pellegrini, che adempiono l’obbligo canonico di effettuare una volta almeno nella vita il pellegrinaggio a La Mecca. Secondo un’altra tradizione, la pietra nera sarebbe un meteorite bianco che, caduto sulla terra, avrebbe assorbito tutti i peccati dell’uomo, assumendo l’attuale, emblematico colore nero.

Nell’ebraismo la pietra è una delle metafore più belle che si trovano nella Scrittura. “Io pongo in Sion una pietra”: questo verso di Isaia è stato per generazioni di credenti fonte di ispirazione, gioia, certezza. Ispira un sentimento di fiducia, di calma, di pazienza per aspettare il tempo di Dio.

Nel cristianesimo la pietra vivente è identificata con Cristo e i credenti sono paragonati a pietre viventi, edificati sulla “pietra angolare” che è Cristo Gesù, per costruire una casa spirituale.

Costruire la propria vita sul fondamento di Cristo vuol dire fondare la propria vita e le proprie speranze su ciò che non passa. Chi al contrario non fa riferimento alla pietra, che è Cristo, rischia di costruire su cose instabili e aleatorie, che non reggono all’urto del tempo e dei rovesci di fortuna.

La pietra è il simbolo di stabilità in tempo di bufera e di difficoltà. Chi si accosta alla pietra, chi confiderà in essa sarà investito dalla pace, dalla calma. Immediatamente identifichiamo la pietra col “Principe della Pace”, il Messia annunciato da Isaia.

Nella storia ebraica si racconta nel libro di Tobia che sul fiume Tigri Tobia cattura un pesce e con le sue interiora ed il fiele guarisce il padre dalla cecità e libera la fidanzata dal demonio Asmodeo. Il libro risale al II secolo prima di Cristo. Probabilmente ai primi cristiani è piaciuto perché rimanda al potere di guarigione di Gesù.

Nel vangelo risulta che Gesù sfamò 5000 persone con 5 pani e 2 pesci e chiamò i suoi discepoli “pescatori di uomini”.

I cristiani fecero ampio uso del simbolo del pesce già dal primo secolo. Infatti l’acrostico della parola pesce (in greco “ICHTYS”) tradotto significa: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Già Greci, Romani e altri pagani usano il simbolo del pesce prima dei Cristiani. Perciò il simbolo del pesce, piuttosto che quello della croce, attraeva poco sospetto, facendo del segno del pesce un perfetto simbolo segreto per i cristiani perseguitati.

Il pesce è figura di immortalità. Infatti per il mondo antico il pesce era cibo dei morti e simbolo di vita e di fortuna. Per cui nella chiesa primitiva il pesce era un simbolo eucaristico molto diffuso. Eucaristia significa allora che Cristo, morto e risorto per noi, offre il cibo dell’eternità. Nell’eucaristia egli pianta il seme divino dell’immortalità nella nostra natura effimera e in questo modo ci dona di aver parte alla sua divinità immortale.

L’ulivo è importante per le religioni nate nei territori bagnati dal Mar Mediterraneo. Queste religioni sono: Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo.

E’ sicuro che la coltivazione dell’ulivo risale a circa 6000 anni fa. Per alcuni popoli antichi l’ulivo era simbolo di ricchezza, di vittoria nelle guerre, di prosperità, di rinascita. Quando poi nacquero le religioni suddette, l’ulivo divenne simbolo di pace e dell’amore di Dio.

Nell’ebraismo, come emerge nel racconto del diluvio universale, un rametto di ulivo diventa simbolo della pace ristabilita tra Dio e l’umanità. Anche i profeti parlano dell’ulivo e lo descrivono come un dono generoso dell’amore di Dio. La Bibbia parla di diversi usi dell’olio: uso alimentare, combustibile e sanitario; inoltre l’olio era la base per la preparazione di molti preziosi unguenti. Ma soprattutto l’olio era usato per consacrare i re, i profeti e i sacerdoti. L’olio dell’unzione era composto da diversi profumi, simbolo della diversa capacità o talento che Dio accorda ad ogni consacrato.

All’interno dell’islamismo la tradizione vuole che nella costruzione delle moschee si debba esprimere la dimensione verticale della preghiera ponendo al centro della cupola un lume ad olio aperto nella parte superiore. L’olio rappresenta l’anima vista nella sua interiorità, che si accende con la preghiera a Dio.

Il nome Cristo, che è riferito a Gesù, deriva da una parola greca, christòs, che vuol dire UNTO, CONSACRATO. Gesù Cristo, dunque è l’Unto di Dio, cioè il Messia, il Figlio di Dio.

L’olio profumato, detto crisma, si usa nella liturgia cattolica del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine come un segno di consacrazione regale, profetica e sacerdotale. Con l’unzione diventiamo persone regali, che hanno dominio su se stesse e che non vengono dominare da nessuno; persone che vivono in prima persona e non si lasciano vivere; persone che sono in pace con se stesse  e dalle quali può irradiare la pace. Diventiamo inoltre persone profetiche, che hanno da dire qualcosa, che può essere detta soltanto da noi, perché ogni essere umano è irripetibile. Diventiamo infine persone sacerdotali, chiamate a trasformare ciò che è terreno in qualcosa di divino, in modo da lasciar trasparire la luce e la magnificenza di Dio.

Nell’ebraismo la coppia è creazione di Dio e la famiglia è la prima prescrizione religiosa data da Dio all’uomo seguita all’atto della creazione. “Dio li benedisse e disse loro. Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate su ogni essere vivente”. L’uomo  e la donna insieme sono l’apice della creazione, presiedono ad essa e la tengono in cura, come il Signore ha cura di loro. L’ebraismo ne fa il baluardo dell’educazione, per la difesa di valori universali vissuti nella quotidianità attraverso la pratica di riti, usi, costumi e regole derivanti dalla tradizione religiosa.

Nell’islamismo il normale corso dell’esistenza del musulmano è orientato verso la famiglia: essa è il suo ambiente più consono e naturale. All’interno di essa, il musulmano realizza la legge di Dio nella sua forma più piena. Il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia. Ma è anche un contratto, e, come tale, non è indissolubile

I quadri che  nel cristianesimo rappresentano la Santa Famiglia sono spesso idilliaci e sdolcinati. In realtà il Vangelo ci mostra una diversa immagine di essa. Inizia con la nascita, che ha luogo in circostanze di povertà, al di fuori della società umana, in una stalla. Continua con l’ordine di trasferirsi subito in terra straniera, perché Erode cerca il bambino. La famiglia è minacciata sin dal suo nascere. In occasione del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme Gesù dodicenne viene smarrito e poi ritrovato nel tempio. Al tenero rimprovero della madre Gesù replica dicendo che il suo posto è nella casa del Padre; la madre sente l’estraneità del Figlio e non lo comprende.

L’immagine della santa famiglia ti promette una famiglia santa, perché porta il mistero di Dio e perché ognuno in essa conserva il proprio mistero. Solamente se nel cuore si lascia spazio al mistero del coniuge e al mistero del figlio, ci si può sentire a casa all’interno della propria famiglia.

Nell’ebraismo l’immagine dei pastori è ambivalente.

La letteratura rabbinica li valuta in modo molto negativo. Sono sospettati di essere imbroglioni. Non ci sarebbe lavoro più spregevole nel mondo di quello dei pastori.

Opposta a questa visione negativa, però, vi è sia nella tradizione ebraica che in quella greca un’immagine positiva del pastore. I patriarchi erano pastori, come anche Mosè e Davide. Dio stesso, dice il salmo 23, è il pastore che ci conduce al buon pascolo.

I greci conoscono il motivo dei pastori che scoprono un infante regale. Virgilio dice che Dio stesso rivela ai pastori i suoi segreti.

Nel Vangelo l’annuncio dell’angelo ai pastori suona a conforto per tutte le persone che disprezzano se stesse. Proprio per loro si apre il cielo e gli angeli di Dio le attorniano con il loro splendore e il loro tenero amore. Per loro è nato il Redentore, che li libera dal modello dell’autolesionismo.

In molte culture il pastore è immagine di una figura paterna prudente e premurosa. I pastori vegliano. Confidano nella notte. Non hanno paura di ladri e di bestie selvatiche. Vegliano, mentre gli altri dormono. Sono intimi alla notte, al buio e al mistero. Proteggono le loro pecore da leoni e lupi. Proteggere è un atto materno. Pertanto il pastore è simbolo di protezione materna, di custodia e amorevolezza.

Gli artisti hanno raffigurato l’adorazione dei pastori in modo particolarmente  affettuoso. Piegano le loro mani callose alla preghiera, i loro volti a volte rozzi diventano teneri e si illuminano. Essi portano quanto possiedono  per farne dono al Bambino nella mangiatoia. Osserva questi pastori, guarda se ti ci ritrovi. Leva le tue mani al Bimbo divino, le tue mani logore e ferite. Egli trasforma le tue mani, le rende tenere e amorose come le mani dei pastori nei quadri di Natale.

Il bue e l’asinello, simboli immancabili in ogni presepe, derivano dal cosiddetto protovangelo di Giacomo, oppure da un’antica profezia, presente nella tradizione ebraica. Infatti Isaia scrive: “il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is. 1,3). Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque dai primi scrittori cristiani come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino).

Il bue e l’asino sono simbolo della natura istintiva ed impulsiva dell’essere umano. Le pulsioni  possono essere trasformate in atti spirituali, gli istinti in sapienza. Lo mostrano molte fiabe. I due figli più anziani del re non badano a quanto gli animali dicono loro. Il più giovane dei figli, invece, ascolta gli animali. Accoglie la loro richiesta d’aiuto. Per questo essi si trovano al suo fianco nelle situazioni critiche e gli mostrano la via per arrivare all’acqua della vita. Se ascoltiamo le nostre pulsioni e i nostri istinti, essi ci spingono alla greppia, nella quale si trova il bimbo divino, e ci mostrano la via per la vera vita. Chi, invece, reprime gli istinti, chi vive solamente con la testa, perché vuole pilotare e decidere tutto a partire dalla testa, vive al di sotto delle proprie possibilità, rimane  straniero a se stesso, in lui non può nascere niente di nuovo.

Il bue e l’asino riscaldano il bimbo divino: si esprime in modo figurativo che la parte naturale ed istintiva dell’essere umano può riscaldare e nutrire lo spirito. Lo spirito in noi senza questo slancio vitale diventa freddo e si irrigidisce.

La Legenda aurea vede nel bue e nell’asino i rappresentanti di tutta la creazione, che prende parte alla redenzione. Lo esprimono molte leggende. Per alcune nella notte santa fioriscono le rose. Per altre la foresta si muta in un giardino pieno di fiori. Le immagini di queste leggende ci mostrano che tutto può essere cambiato con l’incarnazione di Gesù., anche quanto è duro, inconscio, terreno. Tutto in te diventerà nuovo.

Nelle religioni antiche gli angeli sono emissari divini inviati per istruire, comunicare informazioni o impartire ordini agli uomini. Un angelo può avere inoltre funzione di custode, di guerriero celeste e anche di forza cosmica.

Nell’ebraismo emergono le figure principali di Michele, Gabriele e Raffaele, i tre arcangeli. Michele, “chi è come Dio?”, si affaccia nel libro del profeta Daniele. In questo testo si legge che, alla fine, “sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del popolo di Dio”. Gabriele,”uomo forte”, appare anch’egli nel libro di Daniele: è l’angelo destinato a interpretare le visioni, i cui contorni sono piuttosto oscuri. Raffaele, “Dio guarisce”,  appare nel libro di Tobia, come guaritore.

Gli angeli costituiscono una parte molto importante nell’islam. Sono i messaggeri di Dio. Tra di essi l’angelo Gabriele, il messaggero che dettò il Corano al Profeta.

I quadri di Natale non li si può immaginare senza gli angeli, Essi sono i messaggeri di Dio. Annunciano agli esseri umani la parola di Dio. Indicano loro la vicinanza di Dio, che aiuta e salva. Intervengono nella loro vita, li proteggono dai pericoli. Li difendono lungo il cammino e parlano loro in sogno. Gli angeli sono ambasciatori di una realtà diversa, più profonda. Sono immagini della nostra ricerca di protezione, sicurezza e amicizia, vitalità e amore. Ci aprono il cielo e danno alla nostra vita un chiarore celeste. Quando l’angelo di Dio giunge ai pastori, li rischiara la luce di Dio. La loro vita diventa più chiara e santa. Eliminano il peso della terra. Ci fanno prendere parte alla leggerezza dell’essere. Ci offrono voglia di vita, una gioia infantile. Esprimono armonia con l’essere, accordo con la nostra vita che in Dio diventa santa e piena di luce.

Nella tradizione gli angeli rendono giustizia alla nostra anima. Descrivono le possibilità di cui dispone la nostra anima, affinché dispieghiamo la ricchezza della vita che ci è stata destinata. Gli angeli avvertono ciò di cui abbiamo bisogno in quel determinato momento.

Il vino è la bevanda della gioia, della vita, della festa.

L’importanza della vite e del vino appaiono già nella Genesi, primo libro della Bibbia. Vi si narra che Noè, dopo il diluvio, diventa coltivatore della terra. Egli è il primo uomo a piantare la vite, a bere i suoi succhi inebrianti e, inesperto com’è, a ubriacarsi. Questo racconto dimostra l’importanza, nell’Israele antico, della coltivazione della vite e del commercio del vino. Nella letteratura successiva si valorizzerà enormemente il simbolo della pianta e del vino.

Presso gli antichi ebrei il vino era considerato una bevanda di vita e di immortalità.

Per i musulmani è la bevanda dell’amore divino, il simbolo della vita piena, della conoscenza di Dio, dell’eternità.

Inoltre era molto importante nel culto dei morti: era offerto nel giorno della morte e nel giorno destinato al ricordo dei morti.

Nell’Antico testamento il vino era considerato il simbolo di tutti i doni provenienti da Dio, era la bevanda della vita che sa donare consolazione e gioia (Salmo 103: “il vino che allieta il cuore dell’uomo”) e curare la sofferenza umana. Era un bene particolarmente prezioso, simbolo di prosperità e amore, che univa cielo e terra. Per questo motivo nei banchetti non poteva mai mancare il calice del vino, sul quale si pronunciava poi una preghiera di ringraziamento.

Per indicare la gioia della vita futura la Bibbia dice che nel banchetto finale il Signore offrirà agli ospiti vini raffinati. Non è un caso che Gesù compie il primo segno, annunciatore dei tempi nuovi, trasformando, nelle nozze di Cana, l’acqua in ottimo vino, segno della gioia che il regno di Dio porta con sé.

Gesù dà inizio definitivo a questo regno offrendo il vino che è il suo sangue versato per noi, e che ci unisce a Lui in una alleanza eterna. Nella celebrazione eucaristica, condividendo il vino, la bevanda della festa, avvertiamo che Gesù è la nostra felicità, la nostra gioia, l’ebbrezza della nostra vita; sentiamo l’alleanza profonda con Lui e fra di noi. La nostra comunione nel nome di Gesù, nel simbolo del vino, è uno stare insieme festoso, che non avrà mai fine.

Il pane, uno degli alimenti fondamentali dell’uomo, sazia la nostra fame e ci dà energia. Dobbiamo quindi considerarlo come una necessità vitale.

Secondo la mitologia greca fu Demetra, dea delle messi, – Cerere per i Romani – a donare all’uomo i cereali, in particolare il frumento da cui appunto si ricava la farina per panificare. Da sempre il pane ha avuto una sacralità che nel mondo greco prima e romano poi era legato alla fecondità della terra.

Il pane, per gli ebrei, aveva un valore sacro e trascendente, e un significato particolare aveva il pane azzimo, che mangiavano durante la Pasqua. Gli Ebrei erano stati schiavi in Egitto, e come si narra nel libro dell’Esodo, erano fuggiti da quel paese in cerca di una nuova terra, guidati da Mosè. Prima di intraprendere il viaggio che li avrebbe condotti fino alla terra promessa, la Palestina, non avevano avuto il tempo di far lievitare il pane secondo l’uso egizio: così avevano mangiato focacce azzime, cioè fatte di pasta non lievitata. In ricordo del pane mangiato durante l’esodo dall’Egitto, per tutta la settimana di Pasqua, non mangiavano (e non mangiano ancora oggi) pane lievitato. Il pane azzimo costituisce anche un richiamo all’umiltà davanti a Dio, perché il lievito fa gonfiare la pasta come l’orgoglio fa gonfiare il cuore dell’uomo.

Nel Nuovo Testamento il pane, il grano ed il lievito ricorrono spesso. Gesù infatti vi fa più volte riferimento nelle sue parabole, né si deve dimenticare che uno dei suoi miracoli fu proprio quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. I cristiani ricordano che Gesù nell’ultima cena prese il pane, lo spezzò, lo diede ai discepoli dicendo: “prendete e mangiate: questo è il mio corpo” Mt 26,26).

Nella liturgia cristiana si celebra la trasformazione del pane nel Corpo di Cristo: è simbolo della divinizzazione di tutte le cose e dell’intera vita umana. Nel cristianesimo nessuna cosa, neanche un briciolo di pane, è considerata troppo piccola, troppo spregevole o troppo triviale da non poter essere portatrice di Dio o una strada che porta a Lui. Al contrario nei suoi riti il cristianesimo sceglie proprio di appoggiarsi di preferenza alle forme fondamentali della vita. La nostra vita con le sue umane piccolezze innocenti e banali, con le sue grandezze e profondità è il luogo in cui abita Dio.

Il pane è ancora segno di ospitalità e di condivisione. Mangiare il pane regolarmente con qualcuno significa essere suo amico, godere della sua intimità (Gv. 13,18). Il pane unisce, ci fa compagni di viaggio (dal latino cum panis: compagno è colui con il quale si condivide il pane). “Spezzare il pane” significava pranzare, ma spesso nella Bibbia significava celebrare insieme l’Eucaristia, cioè la Cena del Signore (At 2,42). L’Apostolo Paolo attribuisce un forte significato al pane eucaristico: “il pane che spezziamo ci mette in comunione con il corpo di Cristo. Vi è un solo pane e quindi formiamo un solo corpo, perché tutti mangiamo quell’unico Pane”.

L’acqua è un elemento essenziale: disseta e vivifica, serve per lavarsi  e per rinfrescarsi. Ma può anche distruggere e creare caos.

In tutte le religioni l’acqua riveste un significato fondamentale.

Nell’islamismo l’acqua è dispensatrice di vita e sostentamento di vita. E’ all’origine di tutti gli esseri viventi sulla terra, la sostanza con cui Allah ha creato l’uomo. La scarsità di acqua nel mondo islamico e il valore sociale dato ad essa si riflettono sull’idea di paradiso data dal Corano: “E annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono i ruscelli” (Corano 2,25). Ecco perché  nell’islam un pozzo all’interno di un muro quadrato rappresenta il Paradiso.

Nell’ebraismo l’acqua è una presenza costante nei testi della tradizione ebraica. Il racconto della creazione ci mostra come l’acqua esistesse ancora prima della creazione stessa, già quando “lo Spirito del Signore aleggiava sulle acque” E’ l’elemento di origine di tutte le altre cose. La si trova pure nel racconto del diluvio universale, come acqua purificatrice mandata da Dio per risistemare le cose del mondo. Realizza una sorta di ritorno al caos che già esisteva prima della creazione; può essere però intesa come un’acqua di purificazione di quel mondo che aveva preso una strada diversa da quella proposta da Dio.

Nel cristianesimo l’acqua assuma un triplice significato.

L’acqua evoca innanzitutto l’origine di ogni fonte di vita. Nelle favole ricorre l’immagine dell’acqua della vita che risana le ferite e fa vivere per sempre. Sorgenti e pozzi sono luoghi sacri in tutte le culture: le persone s’incontrano al pozzo. Presso un pozzo Gesù incontra la Samaritana e le parla dell’acqua che lui stesso le darà: chi berrà di quell’acqua “non avrà mai più sete; anzi l’acqua,che io gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). E’ l’amore di Dio che viene riversato su di noi e che, in noi, si trasforma in sorgente inesauribile. La nostra sete più profonda è sete d’amore, di un amore che non si esaurisce mai, perché viene alimentato da una sorgente che non si estingue mai.

In tutte le religioni e in tutte le culture l’acqua possiede inoltre la capacità di purificare e di rinnovare. L’acqua del Battesimo ci purifica dagli errori del passato e ci rinnova, affinché possiamo vivere come persone nuove.

L’acqua è infine simbolo di fecondità spirituale. Il battesimo ci ricorda continuamente che in noi zampilla una sorgente che non si lascia mai inaridire: è la sorgente dello Spirito Santo, alla quale possiamo attingere senza sosta, ricevendo sempre l’ispirazione per nuove idee e venendo in contatto con la creatività divina.

Il vestito è una condizione primordiale dell’esistenza.

Nell’islamismo “il velo” è senza dubbio l’elemento vestiario che più ha fatto parlare di sé. Il realtà il velo non è un’imposizione formale coranica (il Corano indica la pudicizia e l’abbigliamento conveniente) e quindi non è un obbligo specificamente religioso. Il velo è piuttosto un costume pre-islamico, utilizzato per proteggersi dal sole, dal vento e dalla sabbia. In alcuni paesi islamici esso è in uso, in altri è accolto solo parzialmente. Il velo è anche una sorta di divisa in ambienti in cui si vuole far notare la propria appartenenza a una corrente fondamentalista.

Nell’ebraismo il vestito esprime la dignità della persona, l’integrità definitiva dell’uomo o il rinnovamento dell’essere riunito a Dio. Le tuniche di pelle con cui Dio riveste la nudità dei progenitori, diventata causa di vergogna, indicavano la speranza di questa integrità.

Nel cristianesimo, in continuità con la tradizione ebraica, il vestito vuole esprimere la dignità dei figli di Dio. Paolo moltiplica le metafore prese in prestito dal tema del vestito per indicare la trasformazione attuale del cristiano, il quale attraverso il battesimo si riveste del Cristo stesso, e quella futura del suo corpo. Gli esseri celesti appaiono in abiti splendenti; così Gesù trasfigurato.

Attraverso la veste bianca, donata al neo-battezzato, il battesimo ci fa capire che cos’è un cristiano. I primi cristiani scendevano nudi nel fonte battesimale e, risaliti, indossavano vesti candide. Con il battesimo siamo diventati persone diverse e abbiamo acquisito una nuova esistenza, siamo diventati una cosa sola con Cristo, siamo quasi persone celesti che ora rispecchiano, in questo mondo, la bellezza del cielo. Ci sentiamo avvolti nell’amore e possiamo gioire della nostra dignità.

La veste bianca è anche simbolo di purezza e di autenticità e vuole significare che il cristiano è totalmente permeabile a Cristo e alla sua signoria, irripetibile immagine di Dio, ed è chiamato a vivere in maniera limpida e vera senza lasciarsi piegare dai pericoli e dalle contestazioni.